Le recenti introduzioni di norme più stringenti, in termini di inquinamento, fanno storcere un pò il naso a chi è tecnico del settore. Perchè se è vero che l’inquinamento automobilistico è importante e va combattuto, è anche vero che quest’ultimo è difficile da arginare nella sua completezza. E soprattutto quali sono le emissioni più dannose?

 

Si fa presto a dire “inquinamento automobilistico”. Si fa presto a effettuare il blocco del traffico o limitare la circolazione delle autovetture più vecchie, ma siamo sicuri che queste tipologie di interventi siano quelle più indicate per salvaguardare la nostra salute? E inoltre, si parla tanto di PM10, mentre i media quasi non citano le altre tipologie di particelle inquinanti. Stiamo parlando delle PM2.5, PM1 ed addirittura PM0.01.

 

In primis cerchiamo di capire chi crea questa forma di inquinamento, sviluppato con il nome di PM. Queste due lettere, traduzione dall’inglese dell’acronimo Materia Particolata, indicano prevalentemente una delle innumerevoli frazioni in cui viene classificato il particolato sospeso che troviamo nell’aria. A formare questo mix di micro particelle sono polvere, fumo, microgoccioline di sostanze liquide, comunemente chiamate aerosol. La loro provenienza è veramente la più variegata, a partire dai processi di combustione umano (motori a scoppio, impianti di riscaldamento, attività industriali, inceneritori, centrali termoelettriche), oltre che ai fattori naturali (erosione del suolo, incendi boschivi, eruzioni vulcaniche, sale marino e quant’altro).

 

Come possiamo ben immaginare non possiamo andare a controllare le sorgenti naturali di questa tipologia di inquinamento, ma possiamo invece andare a porre un limite a tutto quello che crea l’uomo. Il primo aspetto che è soggetto di intervento, sono ovviamente le autovetture, in quanto un eventuale intervento su altre strutture di emissioni, hanno un costo notevolmente più elevato. Sebbene sarebbe da portare avanti un piano di adeguamento delle nostre case, dell’isolamento termico e del corretto funzionamento delle caldaie, ad esempio, è più facile per i governi nazionali, andare a limitare la circolazione delle autovetture più anziane, creando inoltre una spinta per il mercato automotive, ultimamente formato da parchi vetture un po datate in certi casi, senza andare a incorrere in sanzioni da parte della Commissione Europea, per lo sforamento dei limiti imposti.  

 

Le persone più informate sanno però bene che le PM10 sono solo la punta dell’iceberg di questo problema, che nasconde tutte quelle particelle che hanno un diametro inferiore. Tale aspetto è dovuto al fatto che il numero che si trova a fianco alle lettere PM, non è altro che il diametro in termini di millesimi di millimetro, di queste sostanze. Prendere in considerazione le emissioni PM10, vuole dire considerare il particolato sospeso con diametro di 10 millesimi di millimetro, mentre se andiamo a considerare le PM2.5, avremmo un diametro di 2.5 millesimi di millimetro, andando avanti così, riducendo man mano la grandezza di queste sostanze.

 

La ricerca scientifica ha affermato che circa il 60% delle PM10 è formato da particelle almeno di dimensione 2.5, capaci di arrivare fino ai bronchi secondari. Se infatti le PM10 si fermano alla cavità orale e nasale, man mano che diminuisce il diametro, queste particelle si spingono man mano alla laringe, trachea, bronchi, fino ad arrivare agli alveoli polmonari nel caso delle PM1. Se infatti quelle più grandi effettuano un percorso limitato, quelle più piccole sono più difficili da espellere dal nostro corpo. Il naso infatti è un importante filtro che pone un notevole limite al diametro dieci, aspetto che non può effettuare nel caso di 2,5 o inferiori.

 

A questo punto viene da chiedersi come mai ci stiamo concentrando tanto sulle PM10 e non su quelle inferiori. Le risposte che si possono dare sono molteplici. In primis la ricerca scientifica non ha fornito in modo ufficiale una soglia di sicurezza valida per le PM2.5, con una valenza pluriennale. Le malattie infatti che possono sopravvenire per problematiche legate all’inquinamento, possono essere di forma acuta, i cui effetti si vedono nel giro di poco tempo (da qualche giorno a qualche mese), oppure di forma cronica, con effetti che si  manifestano tra i venti e trent’anni. E’ per questa considerazione, che attualmente ci stiamo concentrando sulle PM10, in quanto mancano dei dati certi a livello epidemiologico sugli effetti delle PM2.5, sebbene l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia definito come 10 microgrammi per metro cubo, la media annuale per non incorrere in conseguenze dannose alla salute. A livello normativo però, a livello europeo, siamo ancora lontani da questo limite, in quanto il valore è stato fissato a 25. Il motivo? Come primo aspetto, un eventuale introduzione di questo limite vorrebbe dire mettere in ginocchio molte aziende, perché bisognerebbe perfezionare moltissimi prodotti. Questo non vuol dire che permettiamo di inquinare per non spendere denaro all'ammodernamento, ma significa che se l’attuale tecnologia, unita alla componente economica, non permette una rapida svolta ed adeguamento ai livelli indicati dall’OMS, questi prodotti continueranno a essere sul mercato per i nostri bisogni. Prodotti o servizi di qualunque tipo e forma, dal singolo prodotto materiale che acquistiamo, alle emissioni delle caldaie, alle industrie.  

 

In questo modo, è doveroso dirlo, non stiamo certo tutelando la nostra salute, ma è anche vero che il progresso tecnologico deve andare di pari passo con un progresso anche in termini di emissioni controllate. In conclusione, porre dei limiti alle vetture più inquinanti è sia una metodologia per cercare di avvicinarci a sistemi di trasporto più eco-compatibili, sia come stimolo ad un sistema di auto circolanti in alcuni casi datate, sia come incentivo alla ricerca di accelerare l'ottimizzazione dei processi produttivi. Ci piace pensare però che questi limiti servano soprattutto a consegnare ai nostri figli un pianeta Terra, più pulito possibile, invece che come stimolo economico alle grandi case produttrici.

 

 

Photo by Elina Krima from Pexel